Mari Boine incanta all'alba
Oltre 3 mila escursionisti hanno salutato il sole che sorge quest’oggi al Col Margherita, in Val di Fassa, nell’ambito del festival I Suoni delle Dolomiti. Ad esibirsi un’artista capace di unire le radici di un popolo al jazz, alla world music e al folk
Al festival di musica in quota sono approdati in tutta la loro potenza i suoni dei confini del mondo con l'incantevole performance di Mari Boine. A fine anni Ottanta abbiamo imparato a chiamarli world music, anche grazie all'intuito e alla bravura di Peter Gabriel, capace di portare le note e i ritmi delle molte tradizioni del mondo nei negozi di dischi sotto casa. In realtà l'ex Genesis poteva contare su un sentire che aveva attraversato la musica più sperimentale del decennio e basti citare i Dead Can Dance di Lisa Gerrard e Brendan Perry, nati proprio all'alba degli Ottanta e che nel 1984 avevano rilasciato un album omonimo e spiazzante per la etichetta 4AD. Del 1985 è il primo lavoro di Mari Boine e ascoltarla quest'oggi all'alba de I Suoni delle Dolomiti è stato in parte un viaggio nel tempo e in parte un modo di intendere la musica come scoperta e percorso non solo interiore. Per la cantante di etnia Sami si deve a maggior ragione considerare un doppio binario: ciò che esiste fuori e dentro di noi. Questo perché in quel misto di jazz, world music, folk e ritmiche che talvolta occhieggiano anche al rock blues c'è una tradizione che affonda le proprie radici nella storia di un popolo e nel suo rapporto ancestrale con la natura, e la natura a quelle latitudini polari è bellissima ma sempre estrema. Quasi in una sorta di magica contrapposizione la musica che ne scaturisce, quella che ci ha fatto conoscere Mari Boine, è segnata da una grande dolcezza, da un soffio di vita che la pervade e che spesso si fa danza, spesso sguardo sul mondo e altre volte puro sentire. Per questo gli oltre tremila escursionisti saliti di notte all'alta quota del Col Margherita in Val di Fassa hanno potuto non solo ascoltare la musica, ma condotti da Boine e compagni si sono concessi alla luce blu delle stelle, alla brezza, al primo chiarore e al calore del sole. Sul palco con lei una band internazionale che riuniva il batterista chitarrista Snorre Bjerck, il chitarrista Roger Ludvigsen, il violinista e specialista della niyckelharpa Corrado Bungaro, il sassofonista Giordano Angeli e il bassista Carlo La Manna. «È la prima volta che mi esibisco alle 6 del mattino», ha esordito a inizio concerto. Ha poi spiegato la profonda affinità e vicinanza tra la natura delle montagne con quella del suo paese. L'apertura è stata affidata a due classici come "Vuoi Vuoi mu" e "Gula Gula", circolari e rotondi, a tratti quasi sacrali nelle atmosfere, nell'ascolto delle voci degli antenati. Se da un lato la musica e il ritmo sono dialogo con il passato, dall'altra possono anche essere sguardo verso il futuro e celebrazione della nascita e dell'infanzia come "Birth of a new life". Mari Boine ha tradotto in inglese i titoli delle composizioni evidentemente per renderle più comprensibili al pubblico. L'infanzia però non è sempre e solamente una età spensierata e a ribadirlo è arrivata "The Orphan"m che si è mossa solo sulla voce e su un suono che era molto simile al fruscio, quasi un sussurro da lasciare andare nel vento. Dolcissima, avvolgente, pop in certi passaggi, e con un finale da canto rituale in cui Mari Boine ha dato prova di grande versatilità vocale, è stata "Elle", che ha lasciato spazio a un brano eseguito da Giordano Angeli - anche autore - Corrado Bungaro e Carlo La Manna, intitolato "Adige". Tanta natura infine a chiudere l'esibizione con la cullante "Ask to the Wind", la ritmica "Butterflies", sulla quale Mari Boine ha pure danzato, e "Eagle Brother". Tanti gli applausi alla fine e la richiesta di un bis puntualmente concesso con "Maze".