La genesi del Sentiero della Pace

Un viaggio nella memoria storica del Trentino

“Nonno, ma la prima guerra mondiale chi è che l’ha vinta?”

“Voi italiani. Ti spiego…”

“Da quel giorno tutte le nostre escursioni in montagna si sono rivolte sulla linea del fronte. Ci ho passato troppi anni...”. Così che quando, nel 1986, Claudio Fabbro, allora bambino, poi ingegnere con la passione della storia e della montagna, inizia a inventare il Sentiero della Pace, aveva già tutto il disegno davanti agli occhi.

Valle del Chiese - Lardaro - Forte Corno

Alpini e Schützen

La Grande Guerra per la gente trentina e sudtirolese è stata “l’evento memorabile e incancellabile che ne ha segnato per sempre il subconscio collettivo”. L’evento che ha eclissato tutti gli altri per ordine di importanza e si è trasformato nella memoria indelebile di due identità contrapposte su un territorio che prima li aveva visti vicini e conviventi.

Saliente Trentino”, così passò alla storia la linea del fronte delle nostre montagne. Un saliente fatto di trincee dove uomini affrontavano il freddo in chilometri di buche che rasentavano le creste di cime abissali, al di sopra dei 2500 mt di altitudine, dove resistevano abbarbicati e circondati da fuoco amico o nemico, tanto era uguale, su più fronti.

Lì, Alpini e Schützen, spesso in pace, separati solo dallo stesso spartiacque vallivo, si ritrovavano improvvisamente nemici. In condizioni quotidiane ancora inspiegabili oggi. Da qui tutta la loro improvvisa e imperitura eroicità.

Il Sentiero della Pace, riconoscibile dal segnavia di una colomba, in origine dorata, è, in sintesi, il filo conduttore della memoria storica del Trentino-Südtirol.

La genesi del Sentiero della Pace

Il sentiero della memoria

Il Sentiero della Pace è un percorso lungo 495 km che collega i luoghi e le memorie del fronte meridionale della Grande Guerra. Un percorso da percorrere a tappe, un progetto, un lunghissimo cammino, nato per unire finalmente “le genti italiche e mitteleuropee che su questi monti hanno combattuto e sofferto”.

“Il Sentiero della Pace è come una riga che dallo Stelvio arriva alla Marmolada e poi a Rovereto, formando una piramide rovesciata che grosso modo schematizza la forma del nostro Trentino. Il sentiero è una traccia ideale che unisce i punti principali di un immenso teatro di guerra, dai forti corazzati agli avamposti, ai terminali logistici delle prime retrovie”.

Questa linea è ideale perché nella sua longitudine e latitudine è passibile di varianti.

Fino alla Marmolada, tre sono i livelli e le tracce metodologiche che permettono di percorrerlo e che corrispondono alle tre fasi dei combattimenti della guerra. La prima fase, quindi il primo livello, si ferma davanti ai forti corazzati e ai fronti vallivi. La seconda occupa i colli intermedi e la terza sale fino ai 3500 mt delle postazioni degli alpini del Cevedale e dell’Adamello.

San Martino di Castrozza - Lagorai - Pale di San Martino dal Lagorai | © Daniele Lira

Il Progettone del 1986

Oggi sono circa una ventina i musei in Trentino dedicati alla Grande Guerra, visitabili lungo il sentiero. Sono nati grazie al recupero dei Forti che, prima del 1986 non erano che macerie di pietre mangiate dalla vegetazione, dalle intemperie e dal tempo. Grazie ai materiali dei recuperanti che hanno aperto le loro collezioni private e “hanno smesso di essere gelosi delle proprie memorie”.

Nel 1986, la Provincia Autonoma di Trento istituisce il “Progetto speciale per l’occupazione attraverso la valorizzazione delle potenzialità turistiche ed ecologico-ambientali per trovare una soluzione all’emergenza occupazionale della metà degli anni ’80. Nasce il “Progettone” e, nel 1990, il Servizio Ripristino e Valorizzazione Ambientale. Claudio Fabbro, giovane ingegnere civile con una delle prime lauree a indirizzo ambientale, alpinista esperto con la passione della storia, viene incaricato di mettere insieme i pezzi e le tracce di una memoria da lucidare. Così nell’86 “la ricerca di mappe, carte, diari di guerra, si è associata alla mia percezione stessa della montagna. Per me se la montagna non era guerra perdeva interesse. C’è stata questa fase nella mia vita. La montagna non interessata dal fronte non mi interessava”.

Nel 1986 non era di moda andare per trincee. Non c’era letteratura. I Forti non erano che un cumulo di macerie e di massi. Il lavoro di recupero è durato anni. Metro a metro tutti i sentieri sono stati ripuliti e squadre di tecnici hanno impiegato tre anni e mezzo solo per tracciarlo. “Nell’estate dell’86 abbiamo fatto lavorare 650 operai sui sentieri, pulito gli alvei dei torrenti che erano immondezzai. “Geometri e tecnici distribuiti in 4 comprensori hanno iniziato a mettere a terra la bozza del progetto. Non c’era il gps, solo bussole, altimetri, carta, penna, matita e tavoletta. Il sentiero è stato battuto metro per metro, intervenendo solo su sentieri già esistenti, il 60% dei quali era di proprietà della SAT”.

La genesi del Sentiero della Pace

Il sentimento della memoria

Tutto ciò che oggi possiamo vedere nei musei dedicati e che permise la progettazione e ricostruzione del Sentiero, è frutto di un altro grande lavoro di recupero avvenuto in quegli anni.

Subito dopo la guerra, c’erano i recuperanti per necessità di rame e ferro, utili alla sopravvivenza alimentare. Poi sono arrivati i recuperanti per passione, espertissimi nel settore, gelosissimi dei loro oggetti che custodivano in collezioni private. Così che la maggior parte dei documenti originali non sono stati ritrovati sulle cime ma nelle soffitte. Lì la squadra di Fabbro ha recuperato carte topografiche, fotografie, diari, tutto ciò che serviva per rimappare i percorsi e, appunto, le memorie. Il documento diventava importante, non più l’oggetto in sé.

 

Il Sentiero della Pace

Il nostro invito è quello di camminare sul Sentiero, scegliere la propria tappa e, magari, la variante più accessibile alla nostra attitudine. Fare esperienza del viaggio all’interno di scenari straordinari. Ricordare il frutto del lavoro degli uomini che hanno per primi battuto queste strade e pagato con la vita la difesa di due mondi separati e poi di chi ha continuato a mantenerli accessibili.

La memoria di Claudio Fabbro è ancora legata a ognuno degli uomini che con lui hanno lavorato. L’amore per la montagna continua. A volte il destino privato e quello professionale si incrociano e questo permette di conquistare traguardi eccezionali a beneficio di tutti.

“Mi piacerebbe rintracciare le loro storie. Invecchio…”.

Grazie Claudio e buon cammino a tutti!

Pubblicato il 02/05/2024